Tra le sue varie manifestazioni, una delle caratteristiche più tipiche della sindrome depressiva è costituita dall’anedonia, che si traduce nell’assoluta scomparsa di qualsiasi percezione piacevole. Il paziente depresso, infatti, si congela in uno stato esistenziale di assoluto distacco da tutto ciò che potrebbe offrirgli piacere.
Secondo un recente studio scientifico, alcuni ricercatori della Icahn School of Medicine del Monte Sinai, hanno identificato un principio terapeutico (ezogabina), normalmente utilizzato come farmaco antiepilettico, che sembra garantire risultati incoraggianti su persone che soffrono depressione.
Questo medicinale è in grado di aprire il canale del potassio di tipo KCNQ2/3, migliorando il passaggio dei neurotrasmettitori coinvolti nella genesi della patologia. Si tratta di un innovativo approccio terapeutico mai sperimentato in precedenza, ma che ha prodotto effetti interessanti soprattutto per quanto riguarda l’aspetto dell’anedonia su persone depresse.
L’ezogabina, conosciuta anche come retigabina, è una molecola capace di agire a livello cerebrale, dove rende pervi i canali di tipo KCNQ2/3 del potassio, che quindi può circolare liberamente. Tale meccanismo d’azione si è mostrato selettivo sull’anedonia, un sintomo particolarmente pericoloso per il paziente depresso in quanto presuppone spesso esiti molto preoccupanti.
L’anedonia, infatti, traducendosi in un’assoluta mancanza di risposte agli stimoli piacevoli, comporta una minore compliance con i medicinali, una più scarsa reattività e un aumento del rischio di suicidio.
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Che cos’é l’ezogabina
Approvato nel 2011 dalla Food and Drug Administration Americana, questo principio attivo viene di prassi impiegato nel trattamento anti-convulsivante su pazienti affetti da epilessia. Anche questa patologia, come la depressione, dipende da un’anomala trasmissione dei neuro-mediatori che, a livello encefalico, condizionano le risposte nervose.
I risultati degli studi effettuati dall’equipe del Monte Sinai, che sono stati pubblicati il 3 marzo scorso sull’American Journal of Psychiatry, hanno fornito alcuni dati clinici sul funzionamento del principio terapeutico a livello dei canali del potassio.
L’ezogabina agisce selettivamente soltanto sul canale ionico KCNQ2/3, rivelandosi quindi in grado di discriminare sui differenti neuroni cerebrali. Il targeting di questo canale consiste in un meccanismo operativo totalmente differente rispetto a qualsiasi altra terapia antidepressiva fino ad ora sperimentata.
I risultati sull’impiego dell’ezogabina, che derivano da uno studio randomizzato con placebo di riferimento, sono stati resi noti dal professor James Murrough, docente associato di Psicologia e Neuroscienze presso la Icahn School of Medicine.
Il funzionamento del medicinale è rivolto al canale KCNQ 2/3, appartenente al gruppo dei canali ionici della famiglia Kw7, il cui ruolo è quello di controllare la funzionalità e l’eccitabilità delle cellule cerebrali del SNC. Si tratta di canali che agiscono sulle cellule encefaliche monitorando il flusso di ioni potassio (K+), indispensabili per la genesi del potenziale di membrana.
Come agisce il farmaco
Gli scienziati e farmacologi che fanno capo al Monte Sinai, tra cui anche il professor Ming Hu Han, coautore della ricerca e professore di Neuroscienze e Scienze Farmacologiche presso il medesimo Ateneo, avevano già portato avanti una serie di studi su topi da laboratorio.
Tali ricerche avevano evidenziato una stretta correlazione tra il funzionamento dei canali KCNQ 2/3 e l’insorgenza di sintomi depressivi negli animali da esperimento, che apparivano del tutto disinteressati alle condizioni esterne. Inoltre i topi , che apparivano anedonici, maggiormente soggetti a stress ambientale e scarsamente reattivi, avevano un numero minore di canali ionici a livello cerebrale.
Da queste osservazioni, l’equipe ha dedotto che esiste una probabile relazione tra numero di canali attivi e comportamenti depressivi, secondo cui maggiore è il numero di questi canali, migliore è la resistenza a sviluppare sintomi depressivi e anedonici.
Pertanto è stato associato un miglioramento funzionale del canale KCNQ con uno specifico meccanismo molecolare di resilienza alla sintomatologia depressiva nei topi. Da queste osservazioni, il professor Han ha ricavato alcune interessanti conclusioni, riguardanti l’impiego di un farmaco potenzialmente attivante sui canali ionici in questione.
Si tratta di un meccanismo d’azione biochimica che coinvolge i potenziali di membrana potassio-dipendenti e quindi il movimento di sintesi e ricaptazione dei neuro-mediatori sinaptici. Somministrando ezogabina ai topi, era evidente una loro aumentata reattività allo stress e una netta diminuzione delle manifestazione anedoniche e depressive, confermando quindi l’efficacia del medicinale.
Come è stata impostata la ricerca sull’ezogabina
La ricerca scientifica sull’ezogabina nei topi è stata impostata su uno studio clinico randomizzato e in doppio cieco, sempre controllato con placebo di riferimento e considerata comunque una fase preliminare per una successiva sperimentazione sull’uomo.
Lo studio è proseguito con un approccio clinico su 45 pazienti adulti caratterizzati da una diagnosi depressiva, che sono stati trattati per 5 settimane con un adeguato dosaggio giornaliero di ezogabina e con corrispondente placebo. I soggetti sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale sia all’inizio del trattamento che al suo termine, per evidenziare la struttura morfo-funzionale dei canali ionici.
È stato possibile ottenere risultati senza dubbio molto incoraggianti, poiché i pazienti trattati con placebo hanno mostrato una reattività minore rispetto a quelli curati con il principio attivo, la cui compliance si è confermata a buoni livelli. Quest’ultimo gruppo ha mostrato una significativa riduzione dei sintomi e soprattutto dell’anedonia. Il target che ha assunto ezogabina ha poi evidenziato una riscontrabile tendenza verso un’aumentata risposta cerebrale rispetto a quello trattato con placebo, anche se l’effetto non ha ancora raggiunto una significatività statistica.
Dai dati di questa sperimentazione clinica è emerso un aspetto estremamente utile per futuri approcci farmacologici, consistente nell’intuizione dell’equipe del dottor Han, che un farmaco in grado di imitare un meccanismo di resilienza allo stress possa rivelarsi anche efficace contro la depressione.
Studi clinici sull’ezogabina
Dopo la fase preliminare di studio sui topi e quella successiva su pazienti randomizzati, attualmente è in corso una ricerca farmacologica più ampia, condotta dal dottor Murrough in collaborazione col collega Han, allo scopo di verificare se le osservazioni sui ratti possano essere applicabili anche agli uomini.
Pertanto l’equipe medica ha impostato un iniziale studio aperto senza placebo su pazienti affetti da depressione conclamata e trattati con ezogabina. L’osservazione prolungata di questi pazienti ha permesso ai ricercatori di confermare gli effetti benefici di questo principio attivo, poiché si è manifestata una netta remissione dei sintomi anedonici e depressivi.
Il team è rimasto sorpreso dalla grande dimensione derivante dagli effetti positivi dell’ezogabina sui sintomi clinici. Una delle principali difficoltà che possono ostacolare questa promettente prospettiva si collega al fatto che più di un terzo delle persone affette da sindrome depressiva non si cura adeguatamente.
Questo dipende da due fattori: da un lato sussiste il rifiuto psicologico, da parte del paziente, di ammettere la propria malattia; e d’altro lato è presente anche una certa incompetenza dei medici di base nel diagnosticare correttamente il disturbo depressivo, di solito sottovalutato.
In tali condizioni diventa particolarmente difficile formulare un approccio efficace e funzionale a base di farmaci nuovi, come appunto l’ezogabina, conosciuta finora come medicinale antiepilettico.
Finanziamento della ricerca
La ricerca sull’impiego di ezogabina nel trattamento di episodi depressivi complicati da anedonia è sostenuta dal National Institute of Mental Health, oltre ad altre strutture scientifiche di ricerca, facenti capo alla Icahn School of Medicine, dove prestano servizio il dottor Han e il dottor Murrough.
Sono proprio loro ad essere considerati i veri protagonisti di questi studi farmacologici, per i quali è stata inoltrata una domanda di brevetto che possa autorizzare l’impiego di ezogabina come terapia antidepressiva.
Nell’attesa di ulteriori sviluppi, supportati da risultati clinici sempre più completi, l’equipe del Monte Sinai procede nella sperimentazione su pazienti depressi che utilizzano ezogabina con ottimi risultati.
Fonti: neurosciencenews.com,