Secondo alcuni ricercatori dell’Università di Manoa (Hawaii), il caffè aiuterebbe le foreste a rigenerarsi più rapidamente. In che modo? Gli scarti del processo di preparazione del caffè sarebbero in grado di restituire alle piante la forza necessaria per ricrescere. Una scoperta potenzialmente rivoluzionaria, emersa in seguito a un esperimento effettuato di recente in Costa Rica e raccontato su National Geographic.
Indice dell'articolo
Le foreste crescono più velocemente grazie alla caffeina
I ricercatori dell’università hawaiana avrebbero scoperto che i residui del processo di coltivazione del caffè potrebbero aiutare a riportare in vita le foreste pluviali di tutto il mondo. I test sono stati eseguiti su due diverse aree soggette a deforestazione. Uno dei due appezzamenti è stato coperto con uno strato alto circa 50 centimetri di sostanze derivate dalla coltivazione del caffè, mentre l’altro è stato lasciato così com’era. Entrambi i siti, dopo l’abbattimento degli alberi, erano stati sfruttati per anni, essendo destinati alla coltivazione del caffè o all’allevamento del bestiame, quindi abbandonati.
Quando l’esperimento ha avuto inizio, entrambi i campi erano pieni di erbe infestanti e, in particolare, di una specie africana utilizzata per nutrire il bestiame al pascolo. Questa specie può raggiungere altezze ragguardevoli quando non estirpata dagli animali, ma soprattutto è in grado di impedire alle foreste pluviali di ricrescere. Dopo soli due anni dall’inizio dell’esperimento, l’appezzamento di terreno cosparso con la polpa e le bucce del frutto del caffè ha mostrato importanti segni di miglioramento: l’80% del terreno era già stato ricoperto da alberi tropicali tipici della foresta pluviale.
Inoltre, nel terreno trattato con il caffè, gli alberi risultavano mediamente più alti (fino a 4 volte) rispetto alle specie presenti nell’area non trattata. I campioni di terreno prelevati dai ricercatori hanno poi confermato le impressioni iniziali: contenevano un maggior quantitativo di sostanze nutritive, che avevano contribuito a rigenerare la foresta. I risultati del test sono stati pubblicati sulla rivista Ecological Solutions and Evidence.
Un vantaggio per l’ambiente e per i produttori di caffè
I test effettuati offrono spunti interessanti. Ma non sarà solo l’ambiente a giovarne, considerato che il sistema offre ai produttori di caffè un’alternativa sostenibile per smaltire i rifiuti prodotti dalla lavorazione della materia prima. “È una situazione vantaggiosa per tutti”, afferma Rebecca Cole, coautrice dello studio ed ecologa dell’Università delle Hawaii. “Le foreste tropicali impiegano secoli per ricrescere. Vedere alberi così alti in soli due anni è stata una scoperta eccezionale”. La stessa Rebecca Cole ha aggiunto che saranno necessarie ulteriori ricerche, finalizzate a comprendere meglio l’impatto a lungo termine degli scarti del caffè sulla natura.
I chicchi del caffè sono i semi di un frutto chiamato ciliegia del caffè. Questo si presenta come una ciliegia di colore rosso acceso o giallo. Per ottenere i chicchi è necessario eliminare la parte esterna del frutto e la polpa situata sotto la buccia. I chicchi del caffè, che inizialmente hanno un colore chiaro, vengono poi essiccati e arrostiti. Il processo appena descritto produce la colorazione alla quale siamo abituati. Tuttavia, circa la metà del peso di ciascun frutto viene scartata e buttata via. In Costa Rica, racconta Rakan Zahawi, autore dello studio e direttore del Lyon Arboretum presso l’Università delle Hawaii, i produttori di caffè sono soliti gettare ciò che resta del caffè in appositi lotti di stoccaggio.
Ma com’è nata l’idea? Agli inizi degli anni 2000, Zahawi fece un sopralluogo presso un progetto di rigenerazione forestale che impiegava bucce d’arancia. Quando Zahawi ha iniziato a lavorare nel Costa Rica, ha illustrato la sua idea a Rebecca Cole, pensando ai vantaggi che i soggetti coinvolti (produttori di caffè, proprietari terrieri e ambientalisti) avrebbero potuto trarne. Gli scarti del caffè sono assai costosi da smaltire e trattare, e i produttori non vedono l’ora di liberarsene.
Come avviene il processo di riforestazione?
L’idea di Cole e Zahawi è stata realizzata in questo modo: il primo step è stato spargere uno strato alto circa 50 centimetri di residui di caffè su un’area coperta di arbusti ed erbacce. Le specie vegetali che restano al di sotto di questo strato soffocano, muoiono e si decompongono. Con esse, vengono eliminati anche i rizomi e le radici. I resti vegetali decomposti si mescolano con lo strato ricco di sostanze nutritive, fertilizzando il terreno. Quest’ultimo attira insetti e altri animali, che insieme al vento trasportano i semi e permettono alle piante tropicali di riprendersi ciò che gli era stato sottratto. “Durante i primi due o tre anni, il terreno ha un aspetto orribile, poi riesplode la vita”, dice Zahawi.
La chiave, affermano i ricercatori, è creare uno strato di scarti abbastanza spesso da nutrire a sufficienza il terreno e soffocare le specie vegetali sottostanti. Inoltre, la superficie da rigenerare deve essere piatta a sufficienza per far sì che bucce e polpa del frutto non vengano lavate via dalle piogge. L’ideale sarebbe avviare il programma durante la stagione secca, per dare tempo al terreno di assorbire le sostanze nutritive contenute negli scarti del caffè. Il principio di base è simile a quello del compost usato per fertilizzare i campi prima della semina.
Vantaggi e svantaggi della metodologia
Tra i vantaggi principali di questo sistema risulta evidente la sua economicità. Per Rebecca Cole, il modo migliore per ripristinare le foreste sarebbe piantare alberi; tuttavia, la stessa scienziata ammette che utilizzare i residui della lavorazione del caffè è molto più sbrigativo, oltre che economico. Spargere il compost, infatti, è l’unico step a carico dell’uomo, al quale fa seguito il lavoro della natura, che rigenera la foresta in maniera più rapida di quel che si pensa.
Ma i ricercatori hanno fatto luce anche su alcuni svantaggi. Il primo è l’odore molto sgradevole della polpa del caffè, come afferma Cole, cresciuta in una fattoria del Costa Rica specializzata nella raccolta e nella lavorazione di questo prodotto. Inoltre, la decomposizione dello strato vegetale attira molti insetti, in grado di abbassare la qualità della vita delle popolazioni che vivono nei paraggi. Qualche preoccupazione è sorta anche in relazione ai possibili effetti negativi del compost sui bacini idrografici. Potrebbe, infatti, sussistere un certo grado di contaminazione. L’azoto e il fosforo contenuti nella polpa del caffè possono sortire un impatto negativo su laghi e corsi d’acqua, provocando una crescita esponenziale di alghe o altre sostanze.
Ma non è tutto, poiché la polpa può contenere anche tracce dei pesticidi utilizzati durante la coltivazione del caffè. Lo studio sulle bucce d’arancia e sul loro impatto ecologico mostrò alcuni effetti negativi da questo punto di vista.
Un futuro promettente per le foreste di tutto il mondo?
Dan Janzen e Winnie Hallwachs, a capo di un team di ricercatori dell’Università della Pennsylvania, non sono rimasti sorpresi dal successo dell’esperimento di riforestazione portato avanti da Cole e Zahawi. Nel 1996, fu lo stesso Janzen a seguire da vicino l’esperimento di riforestazione con le bucce d’arancia. Janzen notò che l’appezzamento ricoperto con le bucce, sei mesi dopo l’inizio del trattamento, aveva un odore e un aspetto terribili. Per fortuna, un anno e mezzo dopo, le bucce d’arancia erano scomparse e al loro posto sorgeva una distesa di piante a foglia larga, le cui radici affondavano in un terreno argilloso di colore nero.
A causare l’interruzione dell’esperimento furono alcuni scontri di carattere politico e commerciale, sorti tra i diversi produttori di arance della zona, i quali avevano espressamente richiesto (e ricevuto) l’appoggio di politici locali. Secondo Janzen, la produzione del caffè in Costa Rica è “meno soggetta a questioni politiche spinose” e ciò potrebbe favorire l’attuazione di un progetto a lungo termine.